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Fugit inexorabile tempus – Fabio Rinaldi Fotografo
Fugit inexorabile tempus

Il tempo è un inesorabile galantuomo, scorre imperterrito e non guarda in faccia nessuno. Non ci sono soldi per comprarlo nè forza per fermarlo. Come paradosso neppure la fotografia è in grado di fermare il tempo, ne può bloccare un ricordo, illuderci di rivivere un attimo passato, ma la realtà è che lui indietro non tornerà, e non servirà prendersela con la meccanica dell’orologio, lui non si fermerà.
Eppure la fotografia che ho tra le mani è stata fatta tanti anni fa, sono io a sei anni è innegabile che sia io. Era il giorno del mio compleanno, c’è mio fratello, gli amici … no il tempo è trascorso anche su quel pezzo di carta, lo ha sciupato, lo ha ingiallito, ci sono ovunque le sue tracce, macchie, pieghe, stile, bordo è il tempo.
Possiamo illuderci con un trattamento antirughe, possiamo credere alle lusinghe della facile pubblicità, ma … Quindi come può la fotografia rappresentare il tempo? Come raffigurare il suo scorrere in uno scatto?

Articoli e recensioni.

 

Giano è bifronte, il Dio cristiano e uno e trino. In queste entità numeriche è scritta la legge che regola la vita degli uomini: nascita, sviluppo, morte. In altre parole: il prima e il dopo, il passato e il futuro, il padre e il figlio. In mezzo la condizione del vivere. Ma tutto ciò può essere anche maschera, mela spaccata a metà, forma e contenuto, materia e spirito; quello che non è dato sapere è una condizione molto semplice (o complessa, dipenda da come la si vuole guardare): quale è la parte nascosta e quale è quella in vista? Chi si vela e che cosa viene svelato?
Se qualcosa viene mostrato c’è qualcuno che guarda? Quale è il contenuto e quale è il contenitore? Che cosa rappresenta l’acqua del mare e di chi è il cucchiaio che la contiene? Il tutto è racchiuso dall’anello (o dalla linea retta) del tempo.
All’interno di questo percorso, anche una immagine fotografica può divenire ulteriore metafora degli abissi del pensiero, segno della volontà dell’uomo di soffermarsi di continuo sull’orlo di questa voragine incolmabile che è la sua coscienza irrequieta e mobile. Dopo di ciò ci aspetta l’eternità, come ci hanno già insegnato gli antichi maestri.

Roberto Vidali

 

 

FABIO RINALDI
Uno è almeno due, spesso tre.

 

Uno è almeno due, spesso tre. Doppio e Molteplice sono le chiavi interpretative che Fabio Rinaldi utilizza nella realizzazione delle sue opere.
L’autoritratto in trittico, in particolare, mostra se stesso:
nel presente, con l’analitica e quasi iperrealistica attenzione data alle linee di espressione disegnate dal tempo sulla propria pelle;
nel passato, attraverso un felice confronto con l’immagine del proprio figlio;
e nel futuro, attraverso la fantasmatica presenta del teschio, testimone certo di una fine che si annida nella nascita di ciascuno.
I ritratti evidenziano la complessità e la verità della visione che l’artista coglie con sapienza tecnica e profondità poetica.
Sui volti dapprima un leggero strato d’argilla tende ad azzerare le specificità fisiognomiche soggettive. Escluso lo sguardo questo intervento allude al velo che copre e nasconde, offrendo un modo esplicito per cogliere l’indispensabile potenzialità comunicativa del volto. A seguire è la maschera vera e propria ad azzerare la comunicazione, per accentuare la lucida e intensa capacità degli occhi di entrare in contatto profondo, per esprimere più e meglio di molte parole il sentire di ciascuno, la sua autenticità.
Nella serie Il Risveglio si ripresenta quasi in forma di fotogrammi lo stesso uomo a petto nudo, che passa da uno stato quasi inespressivo a un urlo muto, di un’angoscia che sfocia ironicamente in rabbia. Lo spazio intorno è appena accennato pur essendo a colori: uno sfondo patinato chiama in causa il teatro e lo specchio contemporaneamente. In entrambi si assiste alla rappresentazione rallentata di un incontro dell’uomo – con la maschera di se stesso. L’identità ancora una volta è interpretazione di un ruolo così come la comunicazione di sé è travestimento, svelamento, … mascheramento.

Ogni opera è vanità della vita in cui il tempo agisce liberamente trasformando il volto dell’uomo nell’avventurosa fragilità dell’immagine del presente. Questa la cifra poetica della ricerca di Fabio Rinaldi. Ciascuna foto è una Vanitas, un memento mori che restituisce importanza al presente. Ciascuna è luce sull’istante, è specchio consapevole.

 

Alessandra Santin